Da mesi vengono pubblicati in sequenza studi, report e statistiche su quante siano le persone afflitte da sintomi persistenti per mesi dopo aver contratto il Covid-19.
Pochi giorni fa è stato pubblicato su Nature uno studio che ha riassunto, attraverso modelli statistici e matematici, le 15 migliori ricerche scientifiche su 18.251 analizzate tra quelle pubblicate nel 2020. Presi in esame ci sono otto studi dall’Europa, tre dagli Stati Uniti e uno ciascuno dall’Australia, Cina, Egitto e Messico; per cui geograficamente non dati rappresentativi. Comprendono complessivamente 47.910 pazienti in età dai 17 agli 87 anni e che hanno manifestato sintomi persistenti per un periodo fino 15 settimane dopo l’infezione virale.
Nella immagine in testa all’articolo sono raffigurati i vari sintomi segnalati, e in percentuale, quanti dei soggetti monitorati li hanno riscontrati. La tabella è in inglese ma credo sia comunque comprensibile.
In totale sono stati registrati più di 50 sintomi, anche molto diversi tra loro.
I più ricorrenti sono:
Voglio sottolineare tre aspetti.
Il primo è che, al di là della descrizione quasi un po’ asettica di questi elenchi, dobbiamo ricordare che in molti casi dietro ci sono storie di persone che vivono una penosa condizione, un misto di preoccupazione per il futuro, scoraggiamento, tristezza, mancanza di fiducia, dubbi sulla reale possibilità di uscirne. Il tempo che passa poi, non portando segni concreti di un viraggio verso la guarigione piena, non può che aggravare l’impatto negativo che i sintomi hanno sulla qualità del vivere. Una condizione che possiamo definire di stress cronico. Con numeri da decine di milioni di casi, non si può trattare semplicemente di soggetti ansiosi e/o depressi, anche se questi ultimi compaiono nell’elenco dei sintomi associati a Long Covid. Hanno un problema reale di salute, non psicologico o psicosomatico. Semmai i disturbi sono somatopsichici, cioè dal corpo si portano alla psiche, generando così ansia e depressione per l’influenza che il corpo ha sul cervello. Ansia e depressione sono semplicemente le conseguenze dello star male in modo persistente.
Il secondo è che in questo caso stiamo parlando di una “fotografia” relativa al 2020 (i tempi di verifica delle pubblicazioni sono sempre di alcuni mesi). I dati più aggiornati in via di pubblicazione stanno confermando questo quadro, presentandolo anzi ancora più drammatico, e rilevando che il Long Covid riguarda, in forma più o meno grave, milioni di persone e fino al 60% tra coloro che hanno contratto il virus SARS-CoV-2, compreso gli asintomatici poiché non vi è una stretta relazione tra gravità del Covid-19 e la persistenza e varietà dei sintomi.
Infine che purtroppo il Long Covid è una condizione per la quale attualmente non esistono, o sono riconosciuti, test diagnostici oggettivi, né sono stati definiti dalla Medicina approcci terapeutici. Siamo allo stadio in cui si sottolinea che “la gestione delle persone con Long-Covid deve essere multidisciplinare per dare risposta alle diverse manifestazioni cliniche, funzionali, cognitive, psicologiche e nutrizionali, e che questo approccio deve essere personalizzato, modulato e adattato tenendo conto della varietà delle condizioni che si presentano nel singolo paziente” (cit. Indicazioni ad interim sui principi di gestione del Long-COVID dell’Istituto Superiore di Sanità, versione del 1° luglio 2021). Su questo proveremo nelle prossime settimane a dare il nostro contributo.
Lo studio lo potete consultare a questo link. E’ in inglese, ma con l’aiuto del traduttore on-line diventa comprensibile anche per coloro che non hanno dimestichezza con questa lingua.
https://www.nature.com/articles/s41598-021-95565-8
Questa la citazione completa
Lopez-Leon, S., Wegman-Ostrosky, T., Perelman, C. et al. More than 50 long-term effects of COVID-19: a systematic review and meta-analysis. Sci Rep 11, 16144 (2021)