Molte persone che praticano sport, anche al livello non agonistico, conoscono quella sensazione mista tra euforia, rilassatezza e buon umore, che si verifica circa mezz’ora dopo la fine dell’attività fisica.
E’ il motivo per cui la pratica anaerobica è consigliata anche per una generale attenuazione di eventuali stati d’ansia.
La ricerca scientifica sugli effetti dell’esercizio fisico da anni attribuisce questa sensazione di piacere all’aumento dei livelli ematici di endorfine, sostanze che aiutano ad alleviare il dolore.
Di recente un gruppo di ricercatori dell’Università di Amburgo-Eppendorf e dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza, in Germania ha pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Psychoneuroendocrinology dove sviluppano una tesi che fa ricondurre agli endocannabinoidi – e non alle endorfine – questo “benessere” provato dopo uno sforzo fisico intenso.
Gli endocannabinoidi sono sostanze prodotte dal corpo e che si legano agli stessi recettori del THC, uno dei maggiori e più noti principi attivi della cannabis.
Per dimostrare questa tesi hanno svolto dei test su gruppi di persone somministrando ad alcuni il naloxone, un farmaco che blocca l’assorbimento degli oppioidi: l’obiettivo dei ricercatori era di escludere il ruolo delle endorfine nello “sballo del corridore”.
Annotate “naloxone”, il nome di questo farmaco, ne riparliamo più avanti.
Quale sia la causa effettiva dello “sballo del corridore” probabilmente continuerà ancora ad essere oggetto di scambio tra cattedratici.
Quello che pare certo invece è che si tratti di una risposta fisiologica che fa riferimento ai nostri progenitori in tempi in cui gli esseri umani correvano per sfuggire a un pericolo improvviso o a un predatore, tutte circostanze in cui un’attenuazione delle sensazioni di dolore erano fondamentali per la sopravvivenza.
Come spiego nel mio libro “La Nutrizione dal 2020 in poi”, il glucosio è ritenuto erroneamente l’unico “combustibile” del cervello.
Il picco insulinico che segue l’assunzione di carboidrati favorisce l’ingresso del glucosio nel cervello.
Dopo il picco insulinico vi è un picco ipoglicemico, cioè la glicemia si abbassa velocemente, e tanto di più quanto più elevato è stato il picco glicemico che ha indotto la sua secrezione.
Il picco ipoglicemico induce la secrezione di cortisolo da parte della corteccia della ghiandola surrenale (corticosurrene).
Questo avviene perché la brusca ipoglicemia non è gradita all’organismo, e perché il cortisolo, detto “ormone dello stress” prepara appunto alla primordiale risposta “lotta o fuggi”.
Muovere l’insulina rende, dopo che questa ha agito in direzione ipoglicemizzante, iperattivi, apprensivi, in allerta psichico, ipersensibili, smaniosi, volubili ed a volte anche aggressivi. La ricerca di nuovo glucosio è inevitabile.
Un sistema biologico come questo (iperglicemia-insulina-cortisolo-ipoglicemia) se continuamente stimolato diventa intrinsecamente automantenuto. Il cortisolo viene prodotto anche senza esigenze biologiche vere e proprie, per una sorta di disfunzione dei circuiti dello stress.
Il continuo inondare il nostro organismo con cibi amidacei, che per l’elevatissimo contenuto di carboidrati (=glucosio) terrà i circuiti dello stress iperattivi, con i meccanismi su esposti, spingerà verso lo scompenso metabolico.
C’è un ulteriore elemento da evidenziare.
I derivati del grano (pane, pasta, pizza, biscotti etc.) innalzano più facilmente la glicemia di ogni altro carboidrato complesso, ma perfino dello zucchero da cucina.
Hanno sull’organismo un effetto simile agli oppiacei che, associato al ciclo iperglicemia-insulina-ipoglicemia sopra descritto, stimolano l’appetito potentemente.
Questo effetto è dovuto al glutine.
Molti studi scientifici hanno dimostrato che i polipeptidi (chiamati esorfine) nei quali viene scomposto il glutine, si legano ai recettori degli oppiacei: una vera e propria droga.
Tante volte mi sono capitati pazienti che mi hanno confessato: “Mi sento come drogato dalla pasta o dalla pizza o dal pane o dalla schiacciata…”.
L’effetto sul cervello dei polipeptidi derivati dal glutine viene bloccato dalla somministrazione di Naloxone, farmaco antagonista recettoriale degli oppioidi (che abbiamo citato all’inizio, ricordate?), usato per trattare l’overdose da eroina e per invertire l’effetto dei narcotici durante gli interventi chirurgici.
Nelle cavie da laboratorio la somministrazione di Naloxone impedisce alle esorfine del grano di legarsi ai recettori degli oppioidi presenti nel cervello.
Proprio così: il farmaco, il Naloxone, che blocca i recettori degli oppiacei e ne impedisce l’azione biochimica, inibisce anche gli effetti del glutine sul cervello.
In altri termini, il farmaco Naloxone, che annulla gli effetti degli oppioidi (come la morfina, o loro sostituti come la cannabis), annulla anche quelli delle esorfine del grano!
Quindi, in sintesi, la digestione del grano dà luogo a composti simili alla morfina o alla cannabis, procurando euforia.
Mi è capitato in passato nei miei allenamenti in salita in bici, di passare davanti ad un ristorante e vedere gli avventori alle prese con succulenti piatti di pasta; entrambi, io e loro, avevamo un senso di euforia: il mio provocato dalle endorfine che lo sforzo intenso stava facendo produrre al mio cervello, quello dei “pastofili” provocato dalle esorfine prodotte dalla digestione delle proteine del grano.
Con rigore scientifico e senza nessuna aria di complottismo, dobbiamo riconoscere che viviamo una condizione iper-carboidratica, creata ad arte, perché è l’unico modo per ridurre le persone a consumatori folli di glucosio, letteralmente glicomani (o glucomani), cioè drogati di glucosio.
Condizione questa purtroppo alimentata dall’informazione nutrizionale imperante che continua a raccomandare l’introduzione ogni giorno di 350-400 grammi di carboidrati soprattutto da amidi ricchi di fibre.
La conseguenza diretta di questo scenario dal mio punto di vista è una epidemia di malattie e richiedenti aiuto che sta raggiungendo livelli di assoluta emergenza sanitaria.