In questi casi, molto probabilmente, prima o poi incontreremo quella che definirei la fatica del vivere.
Orientare il nostro destino a tutti i costi, creandoci continue aspettative un po’ su tutto, su noi stessi, sugli eventi, sulle persone, prima o poi tende a sfinirci.
La vita in generale ha un suo fluire, a volte tranquillo, a volte turbolento, come le acque di un fiume, calme in certi tratti e con rapide tumultuose in altri.
Siamo addestrati, per educazione e consuetudini sociali, a produrre continuamente bisogni di ogni tipo, al punto che poi li scambiamo per progetti di vita: si vive spesso solo PER qualcosa.
Alcune volte ci si accorge di girare a vuoto, nel senso che si corre e si corre senza in realtà sapere dove.
Nello stesso momento ci si allontana sempre di più anche da noi stessi.
Si è talmente impegnati a fare altro, che non c’è più tempo, né desiderio, di stare un po’ in compagnia di noi stessi.
La stessa cosa vale per il desiderio di stare con altri.
C’è un grande impoverimento delle relazioni interpersonali… non ci si cerca più, perché lo stare insieme non è più un tempo di condivisione, non è più un tempo da costruire insieme
ognuno con il proprio contributo.
Chi ha qualche decennio di vita, si sarà accorto che è in atto una superficializzazione dei rapporti.
Quelle che vengono chiamate “amicizie”, sono quasi sempre relazioni del “do ut des” latino, “Ti do qualcosa di me per ricevere in cambio qualcosa di te”.
I rapporti familiari hanno anch’essi risentito di un crescente individualismo… e la solitudine aleggia silenziosamente fra le mura di casa.
Questi fenomeni sociali sono l’altra faccia di un malessere che la gente ha dentro… stando male dentro, non ci si sente più aperti verso gli altri… quando stiamo male, siamo istintivamente chiamati ad occuparci di noi stessi.
Questa condizione non è solo una questione psicologica o sociale.
E’ quella che definisco una questione di salute bioelettrica, una assoluta innovazione che ho portato in Medicina.
E’ urgente occuparci del nostro sistema nervoso, che si trova in un momento di disadattamento evolutivo, un condizione che stiamo vivendo nel nostro sviluppo filogenetico, che non riesce più a tenere il passo con il cambiamento delle condizioni ambientali.
Mi spiego meglio.
Noi abbiamo la stessa struttura biologica dei nostri progenitori vissuti 20-30 mila anni fa, ma ci troviamo a vivere, rispetto a quel nostro antenato, con una quantità di informazioni sensoriali che il nostro cervello deve decodificare e gestire, che lo stanno profondamente mettendo in crisi.
A questo sovraccarico bioelettrico si aggiunga un aumento del livello di acidificazione dell’organismo (acidosi), soprattutto a livello extracellulare. L’acidosi della matrice extracellulare, col suo carico di infiammazione e disturbi neurovegetativi, aggrava la difficoltà del nostro sistema nervoso a mantenersi in equilibrio dal punto di vista bioelettrico.
Il nostro cervello rischia il tilt, e lo si vede bene osservando il numero di persone che paiono sul filo del rasoio di una crisi nervosa.
L’ansia patologica, sotto il nome di “stress”, sta rendendo le vite di tante, troppe persone, una penosa condizione esistenziale.
Il rimedio a questa situazione passa solo attraverso un importante cambio di stile di vita da un punto di vista di scelte di salute e, soprattutto, sulle nostre scelte alimentari (sì, una enorme responsabilità di tutto questo è causato dalle abitudini alimentari sbagliate).
E un ruolo fondamentale lo gioca l’importanza della riapertura del nostro cuore al prossimo.
Attenzione, non è una serie di raccomandazioni generiche, né considerazione di superficiale “benaltrismo”.
E’ ciò che deduco dalla mia stessa esperienza di vita e soprattutto professionale.
“Riaprire il cuore al prossimo”, ha un punto di partenza: decidere di uscire da se stessi.
“Uscire da noi stessi” è ricordarsi che il mondo non gira attorno a noi: la dea fortuna non ha nessun obbligo verso di noi, il semaforo non diventa rosso perché sa che passiamo noi con la nostra fretta, la felicità non è un nostro diritto, gli altri non devono vivere avendo i nostri bisogni come primo scopo nella vita…
Molti pensano che tutto questo abbia poco a che fare con la propria salute, con la propria condizione di malessere, con il proprio convivere faticosamente con forme infiammatorie, croniche o occasionali.
Da medico, con quasi quaranta anni di confronto quotidiano con queste realtà, posso dire con certezza che si sbagliano.